Mondo

Un altro Sudan all’inferno

Il Paese è dilaniato da una guerra che oppone il Nord islamico al Sud cristiano, di cui ora si intravede la fine.

di Joshua Massarenti

Era il 5 gennaio 2004. Nella più completa oscurità mediatica, Ahmed M. Abdalla, presidente della Darfur Diaspora Association, denunciò l?ennesimo attacco sferrato dalle milizie locali arabe e dai soldati dell?esercito sudanese contro i villaggi del Darfur, una regione del Sudan occidentale incastrata al confine con il Ciad e il Centrafrica. In sole 48 ore, centinaia di civili inermi, in gran parte donne, anziani e bambini, furono massacrati a colpi di arma da fuoco, baionette e machete. In un appello drammatico rivolto alle Nazione Unite e alla comunità internazionale, la diaspora del Darfur richiese “un intervento urgente di assistenza umanitaria” per “evitare che si ripeta un genocidio in questa regione del Sudan da mesi abbandonata, come in Ruanda e in Bosnia”.
A quasi cinque mesi di distanza, appare ormai evidente che l?appello della diaspora non ha trovato risposta adeguata dalla comunità internazionale. Lo lascia intuire l?ultimo rapporto dell?Icg-International crisis group pubblicato il 24 maggio scorso, secondo cui “è ormai troppo tardi per prevenire la pulizia etnica nel Darfur”. Un pessimismo confermato dalle cifre spaventose di un conflitto che, dal febbraio 2003, ha fatto, secondo le principali agenzie dell?Onu, oltre 30mila morti e un milione di sfollati, costringendo circa 130mila persone a rifugiarsi in Ciad.
Se nulla verrà fatto, altri 350mila sudanesi rischiano di morire entro i prossimi nove mesi. Nella stragrande maggioranza si tratta di civili appartenenti alle etnie Fur, Zaghawa e Massalit, rimasti vittime della feroce repressione condotta dai miliziani arabi Janjawid e dalle truppe dell?esercito di Khartum, in lotta contro i ribelli darfuriani dell?Armata di liberazione del Sudan e del Movimento giustizia e libertà. In un rapporto consegnato il 7 maggio scorso al Consiglio di sicurezza dell?Onu, l?Alto commissario per i diritti umani Bertrand Ramcharan ha avanzato l?ipotesi che i reati commessi dai Janjaweed e dai soldati sudanesi possano “costituire crimini di guerra e contro l?umanità”, compresi quelli compiuti nel mese di aprile in violazione dell?accordo di cessate il fuoco firmato dal regime di Khartum con i ribelli l?8 dello stesso mese.
“Per evitare una catastrofe umanitaria maggiore, è necessario prendere misure internazionali d?urgenza, facendo ricorso alla forza qualora fosse necessario”, sostiene l?Icg, lasciando intravedere un barlume di speranza. Ma è una questione di tempo. Lo sa bene il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, che il 14 maggio scorso, in una lettera indirizzata al presidente sudanese Omar Al-Bechir, ha richiesto “di consentire l?ingresso degli aiuti umanitari nelle aree colpite dalla crisi, di disarmare e controllare le milizie e di trovare una soluzione politica al conflitto”. Per ora, Al-Bechir si è limitato a promettere il via libera agli aiuti umanitari.
A far eco a Kofi Annan è stato l?Acnur-Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, secondo il quale sui 21 milioni di dollari richiesti ai donatori per il Darfur, solo 13 milioni sono stati raccolti. A detta del portavoce Acnur, Kris Janowski “non sarebbero comunque sufficienti per far fronte al flusso di gente che si sta ammassando lungo la frontiera con il Ciad”.

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